Così è la vita

novembre 27, 2007 - Leave a Response

Un ponte sospeso nel nulla.

(Ponte sul Tago “XXV Abril” – Lisbona)

Alda Merini, che è morta ieri

novembre 2, 2009 - Leave a Response

“Cara Federica dirò come soffro

perché ci è dato tanto soffrire,

perché vediamo tagliare dalla terra
le nostre spighe migliori
anche io ero una spiga che cresceva nei campi
credi Federica
i poeti non sono seminati da alcuno
li porta il vento della primavera.
Oggi per la mia donna è un giorno di libertà
ma per noi prigionieri dell’arte
è un altro giorno di prigionia.
Non sono felice della mia morte
carissima Federica
eppure me ne dovrò andare
dopo aver perso la fede
che era nel cuore dei miei amici.”

 

 

… comincio a scorgere il profilo della mia morte

settembre 28, 2009 - Leave a Response
Mio caro Marco,
Sono andato stamattina dal mio medico, Ermogene, recentemente rientrato in Villa da un lungo viaggio in Asia. Bisognava che mi visitasse a digiuno ed eravamo d’accordo per incontrarci di primo mattino. Ho deposto mantello e tunica; mi sono adagiato sul letto. Ti risparmio particolari che sarebbero altrettanto sgradevoli per te quanto lo sono per me, e la descrizione del corpo d’un uomo che s’inoltra negli anni ed è vicino a morire di un’idropisia del cuore. Diciamo solo che ho tossito, respirato, trattenuto il fiato, secondo le indicazioni di Ermogene, allarmato suo malgrado per la rapidità dei progressi del male, pronto ad attribuire la colpa al giovane Giolla, che m’ha curato in sua assenza. È difficile rimanere imperatore in presenza di un medico; difficile anche conservare la propria essenza umana: l’occhio del medico non vede in me che un aggregato di umori, povero amalgama di linfa e di sangue. E per la prima volta, stamane, m’è venuto in mente che il mio corpo, compagno fedele, amico sicuro e a me noto più dell’anima, è solo un mostro subdolo che finirà per divorare il padrone. Basta… Il mio corpo mi è caro; mi ha servito bene, e in tutti i modi, e non starò a lesinargli le cure necessarie. Ma, ormai, non conto più, come sostiene ancora Ermogene, sulle virtù prodigiose delle piante, sulla dosatura precisa di quei sali minerali che s’è recato a procurarsi in oriente. È un uomo fine; eppure, m’ha propinato formule vaghe di conforto, troppo ovvie per poterci credere; sa bene quanto detesto questo genere d’imposture, ma non si esercita impunemente più di trent’anni la medicina. Perdono a questo mio fedele il suo tentativo di nascondermi la morte. Ermogene è dotto; è persino saggio; la sua probità è di gran lunga superiore a quella d’un qualunque medico di corte. Avrò in sorte d’essere il più curato dei malati. Ma nessuno può oltrepassare i limiti prescritti dalla natura; le gambe gonfie non mi sostengono più nelle lunghe cerimonie di Roma; mi sento soffocare; e ho sessant’anni.
Non mi fraintendere: non sono ancora così a mal partito da cedere alle immaginazioni della paura, assurde quasi quanto quelle della speranza, e certamente assai più penose. Se occorresse ingannarmi, preferirei che lo si facesse ispirandomi fiducia; non ci rimetterei più che tanto, e ne soffrirei meno. Non è detto che quel termine così vicino debba essere imminente; vado ancora a letto, ogni sera, con la speranza di rivedere il mattino. Nell’ambito di quei limiti invalicabili di cui t’ho fatto cenno poc’anzi, posso difendere la mia posizione palmo a palmo, e persino riconquistare qualche pollice di terreno perduto. Ciò nonpertanto, sono giunto a quell’età in cui la vita è, per ogni uomo, una sconfitta accettata. Dire che ho i giorni contati non significa nulla; è stato sempre così; è così per noi tutti. Ma l’incertezza del luogo, del tempo, e del modo, che ci impedisce di distinguere chiaramente quel fine verso il quale procediamo senza tregua, diminuisce per me col progredire della mia malattia mortale. Chiunque può morire da un momento all’altro, ma chi è malato sa che tra dieci anni non ci sarà più. Il mio margine d’incertezza non si estende più su anni, ma su mesi. Le probabilità che io finisca per una pugnalata al cuore o per una caduta da cavallo diventano quanto mai remote; la peste pare improbabile; la lebbra e il cancro sembrano definitivamente da escludere. Non corro più il rischio di cadere ai confini, colpito da un’ascia caledonia o trafitto da una freccia partica; le tempeste non hanno saputo profittare delle occasioni loro offerte, e sembra avesse ragione quel mago a predirmi che non sarei annegato. Morirò a Tivoli, o a Roma, tutt’al più a Napoli, e una crisi di asfissia sbrigherà la bisogna. Sarà la decima crisi a portarmi via, o la centesima? Il problema è tutto qui. Come il viaggiatore che naviga tra le isole dell’Arcipelago vede levarsi a sera i vapori luminosi, e scopre a poco a poco la linea della costa, così io comincio a scorgere il profilo della mia morte.

Marguerite Yourcenar, “Memorie di Adriano”

“Si faccia una vita interiore …”

luglio 22, 2009 - Una Risposta

“Cara Fern, si faccia una vita interiore. Di studio, di affetti, di interessi umani che non siano soltanto di “arrivare”, ma di “essere”, e vedrà che la vita avà un significato. Coraggio e arrivederci”.

Cesare Pavese a Fernanda Pivano, 30 maggio 1943

“A cuore scalzo …”

marzo 12, 2009 - Leave a Response

Tu lo vedi, sorella: io sono stanca,
stanca, logora, scossa,
come il pilastro d’un cancello angusto
al limitare d’un immenso cortile;
come un vecchio pilastro
che per tutta la vita
sia stato diga all’irruente fuga
d’una folla rinchiusa.
Oh, le parole prigioniere
che battono battono
furiosamente
alla porta dell’anima
e la porta dell’anima
che palmo a palmo
spietatamente
si chiude!
Ed ogni giorno il varco si stringe
ed ogni giorno l’assalto è più duro.
E l’ultimo giorno
– io lo so –
l’ultimo giorno
quando un’unica lama di luce
pioverà dall’estremo spiraglio
dentro la tenebra,
allora sarà l’onda mostruosa,
l’urlo tremendo,
l’urlo mortale delle parole non nate
verso l’ultimo sogno di sole.
E poi,
dietro la porta per sempre chiusa,
sarà la notte intera,
la frescura, il silenzio.
E poi,
con le labbra serrate, con gli occhi aperti
sull’arcano cielo dell’ombra,
sarà
– tu lo sai –
la pace.

Antonia Pozzi

Lo spatriato

marzo 8, 2009 - Leave a Response

Lo spatriato

Lo hanno portato via
dal luogo della sua lingua.
Lo hanno scaricato male
in terra straniera.
Ora, non sa più dove sia
la sua tribù. È perduto.
Chiede. Brancola. Urla.

Peggio che se fosse muto.

Sbarbaro a Solchiaro?

marzo 8, 2009 - Leave a Response

Qui forse potrei vivere

potrei forse anche scrivere

potrei perfino dire

qui è gentile morire …

Qui forse potrei scrivere:

potrei forse anche vivere

Ultima poesia

febbraio 10, 2009 - Leave a Response
Così io vorrei la mia ultima poesia
Che fosse tenera dicendo le cose più semplici e meno intenzionali
Che fosse ardente come un singhiozzo senza lacrime
Che avesse la bellezza dei fiori quasi senza profumo
La purezza della fiamma in cui si consumano i diamanti più limpidi.
La passione dei suicidi che si uccidono senza spiegazione.

Manuel Bandeira

L’animale

febbraio 10, 2009 - Leave a Response
Ho visto ieri un animale
Nell’immondizia del cortile
Che cercava cibo fra i detriti.

Quando trovava qualcosa,
Non esaminava né odorava:
Ingoiava con voracità.

L’animale non era un cane,
Non era un gatto,
Non era un topo.

L’animale, Dio mio, era un uomo.

Manuel Bandeira

E’ tempo …

gennaio 11, 2009 - Leave a Response

“E tutti quei momenti andranno perduti, come lacrime nella pioggia … E’ tempo di morire.”

Blade runner, Ridley Scott

Il velo blu

dicembre 16, 2008 - Leave a Response

“Sto per morire. E’ da molto tempo che giochiamo a nascondino. Ci ho messo un bel po’ per addomesticarla. La morte non è niente. Quel che conta è il velo blu che sale dall’orizzonte e arriva lentamente fino a coprirti i piedi, poi le gambe, poi il petto. Lì si ferma, per lasciarti il tempo di vederlo e dire addio a ciò che ti circonda. Poi con la stessa lentezza e con lo stesso garbo sale a coprire il viso.”

Tahar Ben Jelloun, “Lo specchio delle falene”